





«Quando il Giro d’Italia non finisce a Milano perde fascino: è un po’ come se il Tour de France non finisse a Parigi o la Vueta a Madrid».
A difendere a spada tratta la città della Madonnina è Danilo Di Luca. L’ex ciclista su strada, squalificato a vita nel dicembre 2013, vincitore del Giro nel 2007, grazie alla corsa rosa ha girato in lungo e largo la Lombardia e Milano.
Di Luca perché il Giro d’Italia dovrebbe sempre finire a Milano?

«Perché parla la storia. Va bene le edizioni particolari, come quella del centenario del 2009 che finì a Roma, ma per il resto rimango dell’idea che Milano sia l’arrivo naturale. Nel 2016 è terminato a Torino e sembra anche che l’edizione numero 100 del 2017 non arrivi a Milano. Spero che nei prossimi anni il trend cambi. L’Italia è molto diversa dalla Francia e Spagna, dove le rispettive corse terminano sempre nello stesso posto, e questa ne è la dimostrazione».
Resta di attualità il dibattito se candidare Roma per le Olimpiadi del 2024: secondo lei Milano avrebbe le carte in regola?

«L’Olimpiade sono qualcosa di straordinario e posso testimoniarlo visto che le ho vissute in prima persona a Sydney 2000. Bisogna sempre valutare costi e ricavi, ma secondo me Roma non è adatta. Milano, invece, è pronta per questo genere di manifestazioni. Si è già visto con l’Expo che è stato un successo: di persona non sono riuscito ad andare, ma alcuni amici che conosco e ci hanno lavorato, hanno avuto un buon indotto».
Milano forse non è pronta dal punto di vista degli impianti…

«Invece Roma? Milano i pochi che ha, vanno benissimo. Quelli da costruire ex novo si può pensare a progetti che ne consentano l’utilizzo dopo la manifestazione o un utilizzo temporaneo. Inoltre dal punto di vista logistico e dei trasporti, quest’ultimo fattore pende a favore di Milano».
Come giudica il rapporto dei milanesi con la bici?

«Milano, e forse anche Torino, sono le uniche città in Italia a dimensione europea con piste ciclabili e bike sharing. In Nord Europa questi sono gli standard e in certi paesi, come in Inghilterra, se vai in bicicletta al lavoro ti corrispondono circa un 7% in più sullo stipendio. Il futuro è questo e Milano si sta muovendo in questa direzione».
Oggi cosa fa nella vita?

«Ho un’azienda che costruisce bici da strada. Per adesso abbiamo solo quattro modelli, ma vogliamo crescere. La sede è a Pescara e forse apriremo anche uno show room».
Da cosa deriva il suo soprannome “Killer di Spoltore”?

«Me lo sono “guadagnato” quando ero nei dilettanti. Durante una gara in Belgio sono andato a riprendere un mio compagno di squadra e l’ho fatto vincere: da lì in poi mi hanno affiliato questo soprannome».
Nel suo libro “Bestie da Vittoria” parla anche del doping nel ciclismo. Rifarebbe tutto?

«Da un lato ti direi si: quando sei un ragazzo e scegli di seguire il sogno della tua vita, diventando un professionista, sei disposto a tutto. Dall’altro lato, adesso che ho 40 anni e con il senno di poi, ti direi non so. Quando inizi a correre a 8 anni, vinci, diventi dilettante e poi pro, però è dura smettere…».
Photo Credits: profilo personaggio Fb
L’articolo uscito su Mi-Tomorrow
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